Penna italiota

Scrivere idee nuove

Il giaciglio del pensiero

L’universo e’ probabilmente molto piu’ piccolo di quanto appaia ai nostri occhi. Siamo noi ad avere la presunzione di essere grandi e poterne misurare distanze tanto immense.

The bed of thought

The universe is probably much smaller than it appears to our eyes. It is we who have the presumption of being large enough to be able to measure such immense distances.

La velocita’ della luce (The speed of light)

Non l’ha capita davvero nessuno.

Non e’ una velocita’ di massa perche’ la massa della luce e’ nulla.

L’equivalenza “massa energia” e la cosiddetta massa equivalente derivante dalla costante di Plank per la frequenza diviso il c quadrato, e’ corretta, ma “confonde le idee”.

La luce non ha massa. Punto.

Quindi quello che si misura di velocita’ della luce e’ qualcosa di profondamente diverso da quanto si misura quando di una massa diversa da 0 misuriamo della velocita’.

Tant’e’ che la velocita’ della luce non si somma ne’ si sottrae alla velocita’ di qualsivoglia sistema di riferimento inerziale disattendendo quella trasformazione tanto cara al Galileo Galilei.

Tutte queste belle osservazioni (che sono sperimentali, principi fisici di misura mai disdetti), Einstein le ha postulate e ci ha costruito quel bellissimo modello che, certo funziona analiticamente, ma che di fatto non risponde di tre domande fondamentali che si sarebbe dovuto porre a monte del postulato:

  1. Cosa sia davvero la luce
  2. Cosa sia davvero la massa
  3. Cosa sia davvero il tempo

O meglio, la “misura”.

Viaggio su un treno e in apparente disdetta di quanto vorrebbe Galileo Galilei la mia velocita’ assoluta rispetto all’osservatore fermo alla stazione non e’ data affatto dalla somma della velocita’ del treno piu’ la velocita’ mia rispetto al treno, poiche’, se cosi’ fosse, senza doverne apportare correzioni di distanze (quelle con le quali interviene Einstein in forma un tantino “ristretta”), io passeggero di quel treno potrei ipoteticamente arrivare prima o dopo il treno od uscirne nel frattempo.

Cosi’ non e’.

Difatti la trasformazione del buon Galileo vuole che rispetto a quella terna geometrica relativa quel passeggero ne abbia ancora misura, vi continui ad appartenere a quel luogo geometrico, a quella “informazione” e giustamente.

Di fatto arrivero’ “da passeggero” e quindi in quel luogo, in quella informazione o con la stessa velocita’ del treno, qualora rispetto al treno sia rimasto fermo, ovvero con un certo ritardo, se nel frattempo del viaggio mi sia spostato dalle carrozze in testa alle carrozze in coda, pertanto, nella migliore delle ipotesi, con velocità massima in quella informazione, arriverò alla velocità del treno.

Un concetto, quello di “appartenenza al luogo geometrico che rigidamente osserviamo dall’esterno e del quale misuriamo il valore informativo di massa”, che non ha mai affrontato nessuno.

Io si.

Se qualche dubbio possa sorgere pensa anche soltanto alla tua misura di massa: sottoporrai ad una forza un luogo geometrico e vorrai misurarne il valore di accelerazione ipotizzando di fatto, all’atto della tua misura che quel luogo geometrico risponda di quella azione senza che quella azione ne vada a deformare la geometria, di fatto ipotizzerai infinitamente rigido quel campione di misura all’atto stesso di misurarne di quella stessa informazione.

Einstein postulando c, non ha compreso che quel c, misura di fatto quanto quell’osservatore esterno al treno e quando il treno e’ fermo alla stazione prima di partire, “misura” quella che comunemente chiamerebbe misura di massa a riposo. All’interno quella misura rappresenta il valore cinetico massimo col quale quella stessa informazione geometrica (ma perche’ di una lettura geometrica vogliamo farne) possa giungere a destinazione, di fatto quello spazio percorso all’interno dei vagoni misura all’esterno il tempo di viaggio del treno e quel tempo misurato all’interno del treno misura all’esterno la lunghezza percorsa lungo le rotaie. Se il treno non viaggia affatto il tempo all’interno di quel viaggio non scorre affatto.

Quanto all’esterno e’ rappresentazione dell’evento all’interno ne e’ il rappresentato e viceversa, quanto all’interno dell’informazione e’ spazio per percorrerla, all’esterno e’ tempo per trasmetterla e viceversa.

Se quel treno fermo alla stazione decida di non partire affatto, passeggero ed osservatore esterno coincidono e il tempo ed il percorso non esistono all’interno piuttosto che all’esterno di quella informazione che abbiamo chiamato “viaggio”.

Tutto molto relativo? Certo “il libero arbitrio” di Einstein, che, in modo “relativo”, ha avuto il libero arbitrio di far scomparire arbitrariamente proprio il libero arbitrio, la “scelta di progetto di “misura” a voler compiere quel viaggio o decidere di non acquistarne neppure il biglietto.

La luce e’ la velocita’ sempre costante all’interno di quel luogo geometrico all’interno del quale osservi e che coincide con la rigidezza di lettura di massa di quello stesso luogo per chi ne osservi dall’esterno.

Big bang? No, il tempo non e’ assoluto, lo e’ l’informazione, che e’ un codice di trasmissione dati in digitale.

Quella distanza “nel tempo” tra la nostra epoca ed il bing bang, e’ la geometria misurata all’esterno della nostra informazione.

Buchi neri? No, quei “dischi rigidi” ai quali pensiamo di dover applicare la stessa metrica di formattazione, sono tali e quali formattati a differente metrica pur di poterne dialogare all’esterno secondo il principio di azione e reazione e non disdirlo affatto, senza doverne essere sovrascritti “perche’ pieni” e perderne quindi apparentemente dell’informazione.

Diremo che quei “buchi neri” non esistono per come specificatamente ipotizzati, ovvero, estendendo il concetto, “ogni porzione geometrica di informazione di massa e’, di fatto, un buco nero”: la luce al suo interno e’ la massa misurata all’esterno, in ogni caso, nessuna perdita di “informazione”.

Certo quelle traiettorie geometriche che disegniamo, tali debbono restare, geometriche appunto, indipendenti dal tempo, altrimenti che facciamo?

Disegneremmo su un pezzo di carta e il giorno appresso quel foglio e il nostro disegno ne sarebbero modificati “nel tempo”, non credi?

C’e’ un concetto di misura alla base che viene stravolto: misuriamo sempre sperimentalmente di una incompletezza “reale”, il cui differenziale di quella stessa misura, sommato a quella stessa misura ne fornisce il valore informativo costante, il numero, il dato.

Con questo potrai comprendere, tra le tante altre cose, perche’ la variazione di un valore cinetico reale di velocita’ di massa non nulla (campo elettrico) origini un campo magnetico, la completezza di misura per averne un valore informativo costante di velocita’.

Una rivisitazione del concetto stesso di “misura”.

Comprenderai che quello spazio che apparentemente geometricamente “percorri”, lo percorri contestualmente come fossi tu un gambero, pure “a ritroso” e di quel percorso “geometrico” a ritroso ne leggi con l’orologio anziche’ col metro, affinche’ il tuo luogo “geometrico” di rappresentazione mantenga rigidamente equidistanti i suoi punti. Perche’?

Ma semplicemente perche’ tale lo hai postulato, tale lo hai definito, lo stesso luogo “geometrico”, lo stesso modello di rappresentazione, dove “hai deciso” di dare coordinata alle tue osservazioni sperimentali, lo hai “costruito” rigido.

Analiticamente ti ritroverai il modello adeguarsi all’informazione, ma quello stesso modello necessariamente dovra’ relativizzarsi all’informazione, diversamente quella informazione che origina la rappresentazione e non il contrario, ne perderebbe ragion d’essere, di informazione, appunto.

In quella informazione che nel nostro esempio abbiamo chiamato “viaggio” e all’interno di quella informazione, l’osservatore che abbiamo chiamato “passeggero” misurera’ un tempo conforme all’essere suo passeggero e alla ragion d’essere del viaggio solo e quando quel treno ne percorra dall’esterno geometricamente. Quella stessa lettura geometrica ne diviene il tempo, davvero fisico, all’interno di quella informazione del passeggero che ne voglia di quell’evento misurarne con ‘orologio. Non e’ un concetto “filosofico”, tutt’altro, ma analitico. Di fatto la trasformazione di velocita’ del buon Galileo Galilei presuppone che quel punto geometrico del quale misuriamo velocita’ appartenga e continui ad appartenere, “in ogni istante di misura”, al campo di misura della terna geometrica da cui e misura l’osservatore relativo. La massa viaggia ad una velocita’ massima pari alla velocita’ della luce nel vuoto, ma all’interno di quella informazione quella costanza e valore cinetico massimale di velocita’ e’ misurato pari a quello che dall’esterno ne e’ il valore informativo. Il luogo geometrico che delimitiamo e del quale misuriamo il valore informativo, all’atto della misura, della rappresentazione, l’abbiamo postulato, definito, rigido.

Avremo “relativizzato” c?, avremo invece, di fatto, relativizzato lo spazio, avremo relativizzato il tempo al valore informativo, all’esterno piuttosto che all’interno di quella “costante”, di quella adimensionale, che potra’ assumere solo valori discreti nel campo dei numeri reali.

E la massa, quell’informazione, ne diviene una sorta di gomitolo di lana, il percorso geometrico di quella lana costituisce una informazione che quando sgomitolata all’esterno ne diviene tempo misurato per trasmetterla.

Un differente concetto di “inerzia”?

No, la sua definizione di misura.

La luce?

All’interno dell’informazione è lana già sgomitolata.

Marco De Lorenzo

The speed of light

Nobody really understands it.

It is not a mass speed because the mass of light is nothing.

The equivalence “mass energy” and the so-called equivalent mass deriving from the Plank constant for the frequency divided by the square c, is correct, but “confuses the ideas”.

The light has no mass. Point.

So what we measure of light velocity is something profoundly different from what we measure when we measure speed by a mass other than 0.

So much so that the speed of light does not add up and it subtracts itself from the speed of any inertial reference system disregarding that transformation so dear to Galileo Galilei.

All these beautiful observations (which are experimental, physical principles of measurement never canceled), Einstein postulated and built us that beautiful model that, certainly works analytically, but that in fact does not answer three fundamental questions that should have been asked upstream of the postulate:

  1. What light really is
  2. What mass really is
  3. What time is really

Or rather, what is the “measure”.

Journey on a train and in apparent cancellation of what Galileo Galilei would like my absolute speed compared to the stationary observer is not given at all by the sum of the train speed plus my speed with respect to the train, since, if this were the case, without having to make corrections of distances (those with which Einstein intervenes in a slightly “narrow” form), I could pass by that train hypothetically arrive before or after the train or leave it in the meantime.

So it’s not.

In fact, the transformation of the good Galileo wants that passenger with respect to that relative geometric triad still has a measure of it, he continues to belong to that geometric place, to that “information” and rightly so.

In fact I will arrive ‘as a passenger’ and therefore in that place, in that information or with the same speed as the train, if compared to the train it has remained stationary, or with a certain delay, if in the meantime of the journey I have moved from the carriages at the top of the carriages in the queue, therefore, at best, with maximum speed in that information, I will arrive at the speed of the train.

A concept, that of “belonging to the geometric place that we strictly observe from the outside and of which we measure the mass informative value”, which has never faced anyone.

I do.

If any doubt can arise, even think only of your mass measure: you will subject a force to a geometric place and you will want to measure its acceleration value by assuming in fact, at the time of your measurement that that geometric place will respond to that action without that action it goes to deform the geometry, in fact you will hypothesize infinitely rigid that sample of measurement at the very moment of measuring that same information.

Einstein postulating c, did not understand that that measure, as much as that observer external to the train and when the train is stopped at the station before leaving, “measures” what it would commonly call a mass measure at rest. Inside that measure represents the maximum kinetic value with which that same geometric information (but because of a geometric reading we want to make of it) can reach its destination, in fact that space traveled inside the wagons measures the travel time outside of the train and that time measured inside the train measures outside the length traveled along the rails. If the train does not travel at all the time within that journey does not flow at all.

How much the outside and ‘representation of the event inside it is the represented and vice versa, how much inside the information is space to cover it, outside it is time to transmit it and vice versa.

If that train stopped at the station decides not to leave at all, passenger and external observer coincide and the time and the path do not exist inside rather than outside of that information we have called “journey”.

All very relative? Certainly “free will” of Einstein, who, in a “relative” way, had the free will to make arbitrary the free will disappear, the “choice of” measure “project to want to make that journey or decide not to buy not even the ticket.

Light is the speed that is always constant within that geometric place in which you observe and which coincides with the mass reading stiffness of that same place for those who observe it from the outside.

Big Bang? No, time is not absolute, information is, which is a digital data transmission code.

That distance “in time” between our age and the bing bang, is the geometry measured outside our information.

Black holes? No, those “hard drives” to which we think we need to apply the same formatting metric, are such and such formatted to different metrics so as to be able to talk to them outside according to the principle of action and reaction and not cancel it at all, without having to be overwritten “Because full” and therefore seemingly to lose information.

We will say that those “black holes” do not exist as specifically hypothesized, that is, extending the concept, “every geometric portion of mass information is, in fact, a black hole”: the light inside is the mass measured at external, in any case, no loss of “information”.

Certainly those geometrical trajectories that we design, such must remain geometric, in fact, independent of time, otherwise what do we do?

We would draw on a piece of paper and the next day that sheet and our drawing would be modified “in time”, don’t you think?

There is a concept of measurement at the base that is distorted: we always experimentally measure a “real” incompleteness, whose differential of that same measure, added to that same measure, gives the constant informative value, the number, the data.

With this you will be able to understand, among many other things, why the variation of a real kinetic value of non-zero mass velocity (electric field) gives rise to a magnetic field, the completeness of measurement to have a constant informative value of velocity.

A review of the very concept of “measure”.

You will understand that the space that apparently geometrically “traverses”, you go through it at the same time as you were a shrimp, also “backwards” and of that “geometric” path backwards you read with the clock instead of with the meter, so that your place “Geometric” of representation keeps its points rigidly equidistant. Why’?

But simply because you postulated it, you defined it, the same “geometric” place, the same model of representation, where “you decided” to coordinate your experimental observations, you “built” it rigidly.

Analytically you will find the model to adapt to the information, but that same model will necessarily have to relativize itself to the information, otherwise that information that originates the representation and not the contrary, it would lose reason of being, of information, exactly.

In that information that in our example we have called “journey” and within that information, the observer we have called “passenger” will measure a time conforming to being his passenger and to the raison d’être of the journey only and when that train goes geometrically from the outside. That same geometric reading becomes the time, really physical, within that information of the passenger who wants to measure that event with a watch. It is not a “philosophical” concept, anything but analytical. In fact the velocity transformation of the good Galileo Galilei presupposes that that geometric point of which we measure velocity belongs and continues to belong, “in every instant of measurement”, to the measurement field of the geometric triad from which it measures the relative observer . The mass travels at a maximum speed equal to the speed of light in a vacuum, but within that information that constancy and maximal kinetic value of velocity is measured equal to that which is its informative value from the outside. The geometric place that we delimit and of which we measure the informative value, at the time of measurement, of representation, we postulate, defined, rigid.

We will have “relativized” c ?, instead we will have, in fact, relativized the space, we will have relativized the time to the informative value, outside rather than inside the “constant” one, of the dimensionless one, which can only assume discrete values in the real numbers field.

And the mass, that information, becomes a sort of ball of wool, the geometric path of that wool constitutes an information that when pushed out of the outside becomes measured time to transmit it.

A different concept of “inertia”?

No, its definition of a measure.

The light?

Within information, it is wool that has already been pushed out.

Marco De Lorenzo

Quel giorno verra’

Verra’ un giorno e i passi non percorreranno un cammino, ma ne disegneranno uno spazio inedito dove estendere indefinitamente la misura dei pensieri.

Quel giorno che verra’ e quella nuova misura non sara’ gia’ un tempo.

I passi non piu’ miei, non solcheranno.

Non avro’ ricordi, ma  estensione, bisogno ed oblio.

One day will come and the steps will not follow a path, but they will draw an unprecedented space where indefinitely extending the measure of thoughts.

That day will come and that new measure will not be a long time ago.

The steps are no longer mine, they will not run.

I will not have memories, but extension, need and forgetfulness.

Caro papà ti scrivo per dirti

Caro papà ti scrivo per dirti

Che sono fiero di te e sei il miglior papa  che io possa avere sei gentile buono e ti vorrei dire altre cose che sono tantissime che non posso scrivere con solo questo computer ma ce ne vorranno almeno circa dieci, dieci basterebbero.

Quello che vogli e solo e solamente che mi stia vicino e abbi sempre fiducia in me .Quando ho detto ed era la mia prima parola Papà o sempre pensato da piccolo che ero fortunato ad avere un papa meraviglioso come te ti voglio una marea di bene ma tantissimo che non potrei decifrarlo e mai nessuno mi potrà ne staccare e ne impedirmi a staccarmi da te e non volerti bene . perché io te lo vorrò per sempre e non ci sarà mai un giorno o mezza giornata che non te lo vorrò  e ti mando tanti auguri e ti abbraccio forte e per il momento  tutto quello che ti volevo dire e tutto qui anzi non so che cosa ti volevo scrivere perche me lo sono dimenticato significa che non era niente di importante.ti faccio ancora tanti auguroni da luca

Ti voglio un mondo di bene anzi 4 mondi ma non so se esistono e se siamo arrivati bo non lo so e non mi interessa saperlo mi interessa solo se sto vicino a te e se ti voglio bene ogni santo giorno che passa ad ogni giorno mi rendi felice perche ci sei tu e se non ci sei non riuscirò a vivere mi fai scherzare e divertire ogni giorno della mia piccola vita da bambino mi basto che tu sia vicino a me.

La misura incompleta

L’uomo ha battezzato il Sapere di non Sapere col nome di Entropia.

Questo concetto è fondamento di ogni ulteriore, ma è sminuito dal ritenere che il percorso di misura possa governare il mondo.

E’ davvero un limite consapevole di orizzonte di conoscenza.

Sarebbe sufficiente contemplare con gli occhi dell’ingenuità, rinunciare a quel bisogno di domandarne oltre, che è invece della natura del “peccato” umano, per poter vedere nell’istante, l’attimo presente,

ove quel disordine perde di ogni significato.

The incomplete measure

The man has baptized the Knowledge of not Knowing with the name of Entropy.

This concept is the foundation of any further, but it is diminished by the belief that the measuring path can govern the world.

It is really a conscious limitation of the horizon of knowledge.

It would be sufficient to contemplate with the eyes of naivety, to renounce the need to ask for more, which is instead of the nature of human “sin”, to be able to see in the instant, the present moment,

where that disorder loses all meaning.

Estensione, Pensiero ed informazione

“Quanto dall’esterno mi abbisogna il metro,

dall’interno ne leggerei con l’orologio.

E viceversa”

Una convenzione di segno tra Reale ed Immaginario. Rivisitazione analitica del cinematismo relativistico.

What we measure from the outside with a meter,

from inside we will read with the clock.

And viceversa.

COPYRIGHT

When I was about to write my expressions, the first thought was to believe that I would never have accepted that the squares of the sheet of paper, as I had postulated as a univocal reference to what I traced with the pencil, could be disfigured in any way by my hand and from my own writing.

If this were the case, if I had disfigured the distances, the dimensions, the reference, the squaring, I would not have been able to write more of my contents and above all others.

I sincerely hope that what I have deduced has made it by incurring errors that in the light of more attentive people can be underlined and never correct.

In this way of my life nobody will be able to pray to it even in the absence of a copyright.

Sincerely

The Author

Marco De Lorenzo

Armonia

La nostra vita sarebbe perfetta, saremmo in totale armonia col resto del Creato, se avessimo la facolta’ di rendere i nostri passi talmente leggeri da accarezzare il cammino.
Godremmo in tal modo del cadenzare delle nostre emozioni e le proietteremmo dove meglio ci aggrada.

Harmony
Our life would be perfect, we would be in total harmony with the rest of Creation, if we had the ability to make our steps so light as to caress the way.
In this way, we would enjoy the rhythm of our emotions and project them where it best suits us.

Cartesio

Non mi riesce di dubitare dello strumento analitico, mi sforzo di farlo, ma proprio non mi riesce di non tradire del Dubbio principe.
Postulo quindi quel numero e ricerco nello stesso, il principio delle infinite varietà dell’Essere.
Perciò il mio non è davvero un atto di Fede, ma un semplice Postulato, forse.
Così facendo ogni espressione analitica corrisponde al Vero e pur quando non riesca a trovarne, per mia incapacità o ridotta fantasia, misura ed estensione, quel numero è lì, lo guardo, forse mi guarda, ed è un oggetto che mi ritrovo a contemplare.
L’analisi diviene per me una Bibbia scritta con un codice diverso dalle parole.
Mio malgrado, mi ritrovo ad analizzare una costante, ma il risultato del mio conoscere non è vano, anzi, assegno a tale costante ed arbitrariamente un valore, consapevole che il mondo fisico, quale lo vivo, non potrà che esserne una condizione al contorno.
Quell’invariante che differenzio a seconda di quanto abbia facoltà, ma soprattutto desiderio e bisogno, è all’origine stessa del mio Pensiero.

Cartesio

I can not doubt the analytic instrument, I try to do it, but I really can not not betray the Doubt prince.
Then I postulate that number and search in the same, the principle of the infinite varieties of Being.
Therefore mine is not really an act of Faith, but a simple Postulate, perhaps.
In doing so, each analytical expression corresponds to the True, and even when I can not find it, because of my incapacity or reduced fantasy, size and extension, that number is there, I look at it, perhaps it looks at me, and it is an object that I find myself contemplating.
The analysis becomes for me a Bible written with a code other than words.
In spite of myself, I find myself analyzing a constant, but the result of my knowledge is not in vain, rather, I assign this constant and arbitrarily value, aware that the physical world, as I live it, can only be a boundary condition.
That invariant that differentiates according to what it has the faculty, but above all, desire and need, is at the very origin of my Thought.

Sabbia

Il tempo e’ sereno qui dove hanno dimora le mie miserabili certezze.

Eppure il vento, lo so, la’ oltre l’orizzonte solleva sabbia nel grande deserto.
Quando saro’ un solo granello di quella maestosa che infuria, allora taceranno.

E ancora allora, taceranno,

ancora allora saranno sabbia i miei occhi, strappati i miei vestiti e la mia pelle.

Ancor tutto tace,

e non voglio illudere di questa geometria.

Lo so, al di la’ c’e’ tempesta, mi sembra di ascoltarne pure le voci e i gemiti.

Distolgo lo sguardo,

ascolto,

nitidamente il cielo e’ sereno, la sabbia ha ali per sostenersi e il mio pensiero peso per divenirne zavorra.

Sand

The weather is peaceful here where my miserable certainties dwell.
Yet the wind, I know, beyond the horizon raises sand in the great desert.
When I am one grain of that majestic raging, then they will be silent.
And then again, they will be silent,
even then my eyes will be sanded, my clothes and my skin ripped.
Still silent,
and I do not want to delude this geometry.
I know, beyond the ‘there’ storm, I seem to hear even the voices and moans.
I look away,
I listen,
Clearly the sky is clear, the sand has wings to support itself and my thought weighs to become ballast.

Simposio

Lei crede in Dio?

Non lo so se ci credo.

Perciò, Lei e’ agnostico.

No assolutamente, non lo sono. Io non Le ho detto che non so se esista o meno Dio, ma che non so se crederlo o meno. Vede, dichiararsi sinceramente credenti o meno, presuppone un atto di Fede, ma prima di tutto verso se stessi, a meno che, e non è inconsueto, non si sia incapaci ed inetti di saper dubitare del proprio intelletto.

Non si offenda quindi, se Le aggiungo che la cosa più assurda è che Lei mi rivolga questa domanda.

Percio’ è un’assurdità quanto Le ho domandato?

E’ semplice risponderLe, trovo semplicemente assurdo che Lei possa davvero riporre fiducia nelle mia risposta.

Symposium
Do you believe in God?
I do not know if I believe it.
Therefore, you are agnostic.
No absolutely, I’m not. I did not tell you that I do not know whether God exists or not, but that I do not know whether to believe it or not. He sees, declaring himself sincerely believers or not, presupposes an act of Faith, but first of all towards oneself, unless, and it is not unusual, one is not incapable and inept to know how to doubt one’s own intellect.
So do not be offended, if I add that the most absurd thing is that you ask me this question.
So it’s as absurd as I asked you?
It is simple to answer, I find it simply absurd that you can really trust in my answer.

Diritti d’autore

Spero vivamente che quanto ho dedotto lo abbia fatto incorrendo in errori che alla luce di gente piu’ attenta possano essere sottolineati e mai corretti.

In tal modo della mia vita nessuno potrà pregiarsene pur in assenza di un copyright.

Copyright
I sincerely hope that what I have deduced has made it by incurring errors that in the light of more attentive people can be underlined and never correct.

In this way of my life nobody will be able to pray to it even in the absence of a copyright.

Einstein e la filosofia

“Il fisico non può lasciare al filosofo la considerazione critica dei fondamenti teorici; perché è proprio lui che sa meglio di tutti e percepisce con maggiore precisione che cosa non vada. Nel cercare dei fondamenti nuovi, egli deve tentare di chiarirsi fino a che punto i concetti da lui adoperati siano giustificati e necessari” (Einstein)

Gia’ a conoscenza di questa massima del grande scienziato, ne cercavo conferma e precisione delle parole espresse.

Non sono del tutto d’accordo con questo pensiero.

La mia cultura di base, che è scientifica, strano a dirsi, non mi suggerisce di farlo, ne perderei un mondo di possibile conoscenza.

Il “metodo”, gli anni passano e portano a rammentare con difficoltà le espressioni, ma “il metodo” è intatto, è imperturbabile, incorruttibile e non ha discriminante degna di nota tra il procedere e il progredire deduttivo filosofico, rispetto a quello scientifico che sia davvero a vantaggio di quest’ultimo.

Quanto è il contributo di Einstein nel settore della conoscenze è indubbio, ma, dal punto di vista metafisico, si riduce criticamente, ad una mera formulazione matematica, elegante nelle sue espressioni, è corretta, ma indebitamente, non dimentichiamo,  fa scempio di definizioni e premesse.

Einstein amplia lo spazio fisico, introducendo un quarto vettore, il tempo, fa proprio e rende implicitamente ed esplicitamente, postulabile un principio, il limite massimo di velocità raggiungibile dall’informazione nel vuoto.

E’ una condizione al contorno, in quanto è un principio, mai disdetto da alcuna esperienza oggi nota e certa, ma non postulabile da un punto di vista deduttivo filosofico.

Quale sia sia la definizione, il postulato, che si sceglie di adottare, il procedimento deduttivo, non giunge mai, per definizione e procedimento, a risultati che sia possibile definire “errati”, può giungere talvolta a risultati definibili “assurdi”, rispetto alle premesse iniziali, dopo averne assegnato le condizioni al contorno, cioè i dati di esperienza ovvero a formulazioni che di fatto, non traducono utilmente la realtà, non siano l’algoritmo ricercato di previsione di misurazione.

Una condizione al contorno, e la velocità della luce, è una condizione al contorno del mondo fisico,  per come lo viviamo, lo osserviamo o misuriamo, non è a priori un postulato, assumendolo tale Einstein, non risolve di una questione fondamentale ed essenziale, cioè quale sia di fatto il “Perché della velocitò della luce”, mettendo a tacere ulteriori domande.

Ho il dubbio che a tale domanda, a tale “Perché”, nessun fisico al mondo ha dato tuttora, seppur esiste, una risposta.

La deduzione filosofica ha peccato forse nel voler estendere spesso la propria domanda di conoscenza dall’ontologia fino all’etica, in maniera talvolta pretestuosa e presuntuosa, volendo chiedere e di conseguenza rispondere di questioni anche antropologiche, anziché specificatamente solo ontologiche e metafisiche, ma il “metodo” filosofico non ha veramente nulla da invidiare al procedimento scientifico, anzi.

Per argomentarne, mi è comodo, per giusto dovere verso il mio lettore, citare il pensiero di due filosofi, Spinoza e Cartesio, in maniera molto superficiale e strettamente nell’ambito ontologico,

Spinoza percorre col pensiero filosofico, le leggi della meccanica classica di Newton, postulando interazioni del tipo causa ed effetto, usando un linguaggio diverso da un fisico, certamente, ma con stesso rigore deduttivo ed assiemistico, facendo uso di un diverso strumento, non quello matematico, ma del pensiero, ma la questione è di forma e non di sostanza, riprende e consegue progredendo al pensiero di Cartesio, cambiandone, direi io stesso e facendo uso di un termine caro alla fisica, il punto di vista dell’osservatore assoluto, l’impostazione diviene postulatoria, anziché basata su principi.

Nella fattispecie, Spinoza definisce un insieme infinito, costituito da infiniti attributi e modi dell’Essere, il Dio che tutto contempla in una visione geometrica e razionale di una unità suddivisibile all’infinito.

La fisica classica è basata su principi, quella moderna su postulati, potremmo, tornando all’esempio precedente, affermare che Cartesio è un filosofo “classico”, introduce due principi, la res cogitans e la res extensa, Spinoza diversamente è un filosofo “moderno”, li deduce, postulando e definendo un insieme infinito di attributi dell’Essere e assegnandone nei due termini, quelli del Pensiero e dell’estensione geometrica, il manifestarsi unico dell’Uomo, negli infiniti modi con cui può individualmente quindi rappresentarsi.

Nel campo scientifico diamo definizione di un algoritmo, che è l’algebra e ulteriormente di una estensione, che è la rappresentazione geometrica dello spazio per come lo osserviamo.

Cartesio parte dal Nulla, si pone un Dubbio Principe, colma quel nulla, dapprima col solo “Cogito ergo sum”, giungendo fino a dubitare del proprio stato di veglia e di sogno e un secondo principio, questa volta “geometrico”, la res extensa,  gli permette, di sviluppare ulteriormente e dedurne all’esterno.

Riflettendo di quel punto di contatto tra pensiero e corpo, individuato dal Cartesio, in maniera tanto bizzarra, nella ghiandola pineale, sorrido all’idea che forse il buon filosofo, non potesse precorrere i tempi, avendo visione futura della possibilità conosciuta di trasferimento di energia elettromagnetica tra diversi sistemi fisici, pur in assenza di un punto di contatto e dell’etere.

D’altro canto, tornando sempre a sorridere, quel dualismo ontologico in Spinoza, porta invece lo Stesso a superare di quel punto di contatto, di quella ghiandola pineale e anticipare, forse, senza volerlo implicitamente, l’equivalenza di materia ed energia.

Non credo sia utile per il lettore disquisirne oltre, torniamo invece al nostro buon fisico, ad Einstein, che nei primi del novecento, qualche secolo dopo, con giusto permesso della fisica, dà definizione e postulato ad un principio, ad una misura osservabile di una grandezza fisica derivata, di una costante di velocità.

Quando il principio e notate, non il postulato, viene accettato come tale, il compito dello scienziato sarebbe stato, diversamente, da quanto invece è avvenuto, con l’avvento della teoria della relatività ristretta, quello di chiedersi dapprima risposta al quesito del perché del principio misurato.

Le trasformazioni di Galileo, un risultato analitico corretto in base alle definizioni e alle premesse, non permettevano di rendere invarianti le Leggi di Maxwell che governano quella che potremmo azzardare pur essere una condizione al contorno, cioè l’elettromagnetismo, le trasformazioni di Lorentz ne risolvono di tale condizione, pur dovendo esplicitamente modificare la definizione iniziale dello spazio geometrico, non più a tre, ma esteso a quattro dimensioni, di fatto, non più isotropo, come definito, ma mai veramente ridefinito.

Quel difetto di lettura dell’osservabile è ben noto in filosofia col termine “Apparire”, non può e non deve, per dettame filosofico, non fisico, interferire col procedimento deduttivo, già il Dubbio espresso filosofico di Socrate insegnava il “sapere di non sapere”, un evidenza di relatività all’osservabile, che trova riscontro e terminologia fisica, sempre e solo dopo parecchi secoli, nel principio di indeterminazione di Heisenberg

La fisica, non la matematica, per ovvie ragioni e necessità di celere progredire, introduce ulteriori premesse, definizioni o costanti utili e necessarie, pur di andare oltre, anche agli ostacoli.

Il grande scienziato avrebbe potuto affermare che la filosofia può rallentare talvolta il progresso scientifico, che comunque deve procedere, ma non può certo esserne motivo di corruzione o di indotto errore delle premesse e non criticabile, essendone,  la filosofia premessa alla fisica e fornendone, tra le altre innumerevoli, definizione allo strumento, da essa utilizzato passivamente nella formulazione analitica, che è l’algebra.

Einstein and philosophy
“The physicist can not leave to the philosopher the critical consideration of the theoretical foundations; because it is he who knows best and perceives more precisely what is wrong. In seeking new foundations, he must try to clarify to what extent the concepts he uses are justified and necessary “(Einstein)

Already aware of this maxim of the great scientist, I was looking for confirmation and precision of the words expressed.

I do not totally agree with this thought.

My basic culture, which is scientific, strange to say, does not suggest that I do it, I would lose a world of possible knowledge.

The “method”, the years pass and lead us to remember the expressions with difficulty, but “the method” is intact, imperturbable, incorruptible and has no notable discriminating between proceeding and philosophical deductive progression, compared to the scientific one that is really to the advantage of the latter.

How much Einstein’s contribution in the field of knowledge is undoubted, but from a metaphysical point of view, is reduced critically, to a mere mathematical formulation, elegant in its expressions, is correct, but unduly, we do not forget, makes havoc of definitions and premises.

Einstein expands the physical space, introducing a fourth vector, time, makes its own and implicitly and explicitly, postulates a principle, the maximum speed limit that can be reached by information in the void.

It is a boundary condition, as it is a principle, never canceled by any experience known and certain today, but not postulated from a philosophical deductive point of view.

Whatever the definition, the postulate, which one chooses to adopt, the deductive procedure, by definition and procedure, never arrives at results that can be defined as “wrong”, can sometimes lead to results that can be defined as “absurd”, compared to the initial premises, after having assigned the boundary conditions, ie the data of experience or to formulations that do not actually translate reality, are not the sought-after measurement forecasting algorithm.

A boundary condition, and the speed of light, is a condition around the physical world, as we live it, observe it or measure it, it is not a priori a priori, assuming it Einstein, does not solve a fundamental and essential question, that is in fact the “Why of the speed of light”, silencing further questions.

I have the doubt that to this question, to this “Why”, no physicist in the world has given an answer, even if it exists.

The philosophical deduction has perhaps sinned in wanting to often extend its own question of knowledge from ontology to ethics, in a sometimes pretentious and presumptuous manner, wanting to ask and consequently answer also anthropological questions, rather than specifically only ontological and metaphysical, but the Philosophical “method” really has nothing to envy to the scientific process, indeed.

To argue with it, it is convenient for me, rightly to my reader, to quote the thought of two philosophers, Spinoza and Cartesio, in a very superficial and strictly ontological context,

Spinoza follows the laws of classical mechanics of Newton with philosophical thought, postulating interactions of the cause and effect type, using a language different from a physical, certainly, but with the same deductive and axiomatic rigor, making use of a different instrument, not the mathematical one , but of thought, but the question is of form and not of substance, resumes and follows progressing to the thought of Cartesio, changing them, I would say myself and making use of a term dear to physics, the point of view of the absolute observer, the the setting becomes postulative, rather than based on principles.

In this case, Spinoza defines an infinite whole, consisting of infinite attributes and ways of Being, the God who contemplates everything in a geometric and rational vision of a unit that can be subdivided into infinity.

The classical physics is based on principles, the modern one on postulates, we could, returning to the previous example, affirm that Cartesio is a “classical” philosopher, introduces two principles, the res cogitans and the res extensa, otherwise Spinoza is a “modern” philosopher “, He deduces them, postulating and defining an infinite set of attributes of Being and assigning them in the two terms, those of Thought and of the geometric extension, the unique manifestation of Man, in the infinite ways with which he can individually then represent himself.

In the scientific field we give definition of an algorithm, which is algebra and further of an extension, which is the geometric representation of space for how we look at it.

Cartesio starts from Nothing, there is a Doubt Prince, it fills that nothing, first with the only “Cogito ergo sum”, coming to the point of doubting its waking and dreaming state and a second principle, this time “geometric”, the res extensa , Allows it to further develop and deduce it from the outside.

Reflecting that point of contact between thought and body, identified by Cartesio, so bizarre, in the pineal gland, I smile at the idea that perhaps the good philosopher could not precede the times, having a future vision of the known possibility of energy transfer electromagnetic between different physical systems, even in the absence of a point of contact and ether.

On the other hand, always returning to smile, that ontological dualism in Spinoza, leads instead the same to overcome that point of contact, that pineal gland and anticipate, perhaps, without implicitly wanting, the equivalence of matter and energy.

I do not think it is useful for the reader to discuss it further, instead we return to our good physique, to Einstein, who in the early twentieth century, a few centuries later, with proper permission of physics, gives definition and postulate to a principle, to an observable measure of a derived physical quantity, of a velocity constant.

When the principle is noted, not the postulate, it is accepted as such, the task of the scientist would have been, differently from what has happened, with the advent of the theory of special relativity, to ask first answer to the question of why measured principle.

The transformations of Galileo, an analytical result corrected according to the definitions and premises, did not allow to make invariant the laws of Maxwell that govern what we could hazard while being a boundary condition, that is the electromagnetism, the transformations of Lorentz solve it of this condition, although having to explicitly modify the initial definition of the geometric space, no longer to three, but extended to four dimensions, in fact, no longer isotropic, as defined, but never really redefined.

That defect of reading of the observable is well known in philosophy with the term “Apparire”, can not and must not, by philosophical, not physical dictate, interfere with the deductive process, already the philosophical doubt Dubbed of Socrates taught the “knowing not to know “, An evidence of relativity to the observable, which finds confirmation and physical terminology, always and only after several centuries, in the Heisenberg uncertainty principle

Physics, not mathematics, for obvious reasons and needs of rapid progress, introduces further premises, definitions or constants useful and necessary, just to go further, even to obstacles.

The great scientist could have affirmed that philosophy can sometimes slow down scientific progress, which must proceed anyway, but it can not be a reason for corruption or induced error of the premises and not criticism, being, the philosophy premised to physics and providing, among the other innumerable, definition to the instrument, passively used in the analytical formulation, which is algebra.

Francobolli da 500 lire

Ti scrivo per raccontarti del maldestro incantesimo perpetrato anni or sono da due apprendiste streghe sulla cima del Vesuvio. Il loro nome mi è stato confidato da un vecchio postino che raccoglieva francobolli da 500 lire. Un pentolone grosso e fumante, occhio, malocchio, corno e bicorno, aglio, fravaglio, prezzemolo e finocchio, con l’aggiunta di qualche ortica e uova di lombrico e d’un tratto, un principe si tramutò in un rospo gracchiante. Il rospo poverino, rimasto tutto solo, non seppe darsi pace, cominciò a saltellare di qua e di là e di lui se ne persero completamente tracce.

Ma il bello è, che queste due apprendiste streghe, non erano poi tanto esperte in arti di magia, così l’incantesimo pur celava un antidoto segreto, che questo povero vecchio seppe raccontarmi: sarebbero passati più di trecento anni, tanti ce ne sarebbero voluti perché tutte le parole si fossero sposate col giusto francobollo e così, affrancate, avrebbero preso finalmente il volo.

Quando quel giorno verrà, si disegnerà nel cielo un arcobaleno di tanti piccoli pezzi di carta colorati, che si andranno a posare sulla collina, dove quel povero rospo, rimasto solo a gracchiare per tutto il tempo, li rileggerà ad uno ad uno.

Quando avrà terminato il suo compito cercherà altri francobolli, ma di nuova fattura stavolta, con cui spedire le parole rimaste senza busta: la sua amata le riceverà e gli restituirà le sue, egli tornerà principe, lei principessa e vivranno tutti felici e contenti. Non rispondermi, ti prego, è solo una fiaba che mi ha raccontato un vecchio uomo per strada. Si racconta ai bambini la sera e poi ci si addormenta.

Terremotismo

Forse i terremoti non si possono veramente prevedere, a meno, forse, di verificare studi specifici di settore non ancora assimilati negli indirizzi tecnici ufficiali e che, comunque, vanno approfonditi.

Ma è possibile e con ottima approssimazione, simulare e prevedere i danni che un terremoto di definita magnitudo provoca su di una struttura esistente e progettare ogni opera di intervento necessaria per l’adeguamento sismico, per edifici di qualsivoglia natura, in cemento armato, in muratura portante, in pietra, in struttura mista.

Sebbene in Italia sia in vigore una Normativa per il calcolo delle strutture in zona sismica, la NTC2008, che non ha da invidiare alle migliori specifiche internazionali, non è solo sulla carta che si scongiurano i danni che occorrono al verificarsi di fenomeni sismici come quello odierno.

In Italia abbiamo un patrimonio edilizio, che per un buon 70% è dal punto di vista strutturale da rivedere, se non, in buona parte, addirittura fatiscente e da demolire, un “terremotismo”, un neologismo che ho letto da qualche parte.

Non può pensarci il privato.

Il privato non è una finanziaria, è solo probabilmente proprietario di una casa dove al posto di pagare un affitto mensile, ha deciso in passato di pagarne una rata di mutuo.

Ai costi dell’intervento edilizio necessario, vanno ad aggiungersi i furti amministrativi per l’ottenimento degli atti autorizzativi, i giusti costi per i tecnici incaricati, i furti per le tasse sulla manodopera, i furti per eventuali volture catastali per cambio di destinazione d’uso con conseguenti rincari sui furti di tassazione degli immobili, e in primis, anche se citati in ultimo, per darne maggiore memoria, gli interessi passivi, cioè l’usura “alla francese” sui prestiti ottenuti, se ottenuti, dalla banca, per fare i lavori.

Morale, ammesso e non concesso che un proprietario abbia la malsana idea e presunta possibilità economica di adeguare, ristrutturare, valorizzare, di questi tempi, un immobile di proprietà, probabilmente già gravato di ipoteche sul mutuo e dal valore immobiliare, di fatto, dimezzato dalla crisi, dovrà accertarsi preventivamente che la banca gli presti i soldi, che il Comune e i suoi incaricati non facciano ostruzione a rilasciare in tempi non biblici l’autorizzazione alle opere, riappacificarsi mentalmente all’idea di sostenere altre ipoteche per valore aggiunto sui prestiti contratti, oltre che, confidare in un impresa che, con il DURC regolare, sia in grado di lavorare a prezzi competitivi, pur pagando gli operai, pur anticipando la differenza di iva per l’acquisto delle forniture, il 10% a credito per la fatturazione attiva verso il cliente e il 22% a debito per la fatture che riceve dai fornitori, pur anticipando le trattenute fiscali al lordo sugli importi di aliquota pari all’8% sui bonifici ricevuti in banca, che non si comprende come e perchè, si faccia cassa come sostituto d’imposta per conto dello Stato, pur scongiurando eventuali imprevisti per fermi di cantiere dovuti a qualche incaricato del Comune o a qualche vigile col fischietto, o a qualsivoglia altro illustre, che non trovi niente di meglio da fare la mattina che comminare qualche multa per la mancanza di un po’ di carta igienica in cantiere, ovvero fermi direttamente il cantiere perché “così mi va se vi pare”, senza che l’impresa e il proprietario con lui, non decidano di immolarsi all’opera e nel frattempo fallire.

Infine il nostro “proprietario”, demoralizzato da tanti sacrifici suoi e di chi dovrà coinvolgere nel suo delirio, non farà nulla, non potrà fare nulla, spererà soltanto che, se proprio debba cascargli addosso, quella casa che, probabilmente neanche ha finito di pagare, quelle quattro mura, abbiano la cortesia almeno di risparmiargli i figli.

Se invece quel proprietario, che vuole, a tutti i costi, dormire sonni tranquilli, decidesse di altra ricetta tipo quella di andare in banca per chiedere con provocazione un prestito, minacciando ad esempio di non pagare ulteriori rate del mutuo già in essere, ammesso e non concesso che raggiunga buoni e giusti accordi con la banca, ed ottenga l’elemosina, dovrà ulteriormente fare i lavori senza dire niente a nessuno, incaricherà chi gli curi l’aspetto tecnico delle opere, lo pagherà “a nero”, possibilmente con l’anticipo, l’impresa, pure, la pagherà “a nero”, possibilmente non “strozzandola”, spererà che, durante i lavori, qualche impiegato al comune, non pagato “a nero”, sia impegnato a chattare in ufficio e porterà quindi cucinato a dovere il risultato a casa di scongiurare una possibile morte sotto a delle macerie.

Se conosci il nemico, lo eviti e il terremoto forse non, ti uccide, forse.

Qualora la ricetta precedente non sia applicabile, per etica e buona morale del proprietario, ovvero, come più probabile, per la totale mancanza di fantasia e di possibilità economica, non venga quindi apparecchiata a tempo, il Nemico, pur senza fantasia, pur senza dovuta possibilità economica, si prodigherà, con grande sforzo di lavoro e di intelletto, per valutare i danni, per la definizione degli interventi, per l’appalto alle società General Contractor da far “figurare” sui lavori, per la suddivisione tra i vari mister strani delle quote societarie delle imprese subappaltatrici, per mezzo di prestanome compiacenti, per gli introiti pubblicitari, senza etica nè morale, per gli extra contrattuali agli uffici locali, per ogni onere e magistero a dare l’opera finita e compiuta a regola d’arte.

Il mio sincero cordoglio ai parenti delle vittime.

Il dogma

La Fede, l’Ateismo, è l’Esperienza per eccellenza, risposta, che ognuno di noi vive a un bisogno primario, a un “Perché” generato o forse, ingenerato.

Chi smercia di qualsiasi tipo di dogma di Fede o non Fede è il primo ciarlatano, vende un brevetto non suo, il solo “Perché”, è un brevetto.

Se ne possono depositare i diversi diritti d’autore nei luoghi o nei non luoghi di culto.

Ma è, credo, una truffa, volerne vendere le proprie, pur genuine risposte, ad altri, già sapendo che possono alimentarsi solo delle proprie.

E’ un mio pensiero.

The dogma

Faith, Atheism, is the experience par excellence, the answer, that each of us lives to a primary need, to a “Why” generated or perhaps engendered.

Anyone selling any kind of dogma of Faith or non-Faith is the first charlatan, sells a patent not his own, the only “Why”, is a patent.

The various copyrights may be deposited in places or non-places of worship.

But it is, I think, a fraud, wanting to sell their own, even genuine answers, to others, already knowing that they can only feed on their own.

It is my thought.

Indifferenza

Ho il dubbio che il problema non sia l’indifferenza, al contrario, è la differenza, la linea che tracciamo tra noi e chi, dall’altra parte, per nazionalità, povertà, colore della pelle, religione, sesso, malattia, quella linea ci rende incapaci di vedere, con gli stessi occhi indifferenti, coi quali, riconosciamo noi stessi.

Ci vergogniamo, per falso pudore, di essere, sotto i nostri vestiti, indifferentemente nudi.

Penna Italiota

Indifference
I have the doubt that the problem is not the indifference, on the contrary, it is the difference, the line that we trace between us and who, on the other side, by nationality, poverty, skin color, religion, sex, illness, that line it makes us unable to see, with the same indifferent eyes, with which we recognize ourselves.

We are ashamed, by false modesty, of being, under our clothes, indifferently naked.

Frontiere

L’Uomo è un universo, è prezioso, è dialogo, ogni uomo, ogni donna, ogni bimbo che lasceremo al di là delle nostre paure, è un tesoro, è un immenso tesoro che avremo per stupidità perso per sempre.
Io non voglio sentirmi solo e voglio poter scegliere, non curandomi affatto di barriere che non ho chiesto, voglio vivere il mondo così, semplicemente, così, come mi è stato donato, con la sua infinita bellezza.

E’ un mio diritto.

Borders
Man is a universe, it is precious, it is dialogue, every man, every woman, every child that we will leave beyond our fears, it is a treasure, it is an immense treasure that we will have for stupidity lost forever.
I do not want to feel lonely and I want to be able to choose, not caring at all of barriers that I have not asked, I want to live the world like that, simply, so, as I was given, with its infinite beauty.

It is my right.

Luce e buio

Dubito sia possibile concepire e darne quindi definizione, principio o assioma al buio in un mondo di sola luce e dubito in maniera speculare che possa l’uomo definire un principio o un assioma, un concetto di luce, non avendone, prima o durante, vissuto un’esperienza del buio.

L’esperienza, cioè, quell’essere spettatori dell’evento presuppone ulteriormente che l’evento avvenga in un lasso di tempo di durata inferiore rispetto alla durata dello sperimentare nostro e/o di chi di quell’esperienza possa comunicarci la memoria storica.

Dubitare e chiedere e concepire l’inedito, presuppone, ma è una mia personale deduzione, anche un concetto storico della memoria, al di là di volerne sviluppare un sistema deduttivo basato su dei principi, ovvero un sistema assiomatico e razionale, che in ogni caso necessita di definizioni e premesse.

Ma è pure sufficiente racchiudere una porzione di mondo, per aver sperimentato e quindi dato definizione del buio ivi racchiuso e viceversa.

Non potrà mai uno spettatore, nel suo limitare del tempo e all’interno, ovvero, sempre non eterno e costretto all’esterno delle mura di quella stanza buia o illuminata che sia artificialmente, pur solo concepire quel mondo di luce, ovvero quel buio e cielo stellato che lo attende fuori.

Il ragionamento è vasto e le sue infinite deduzioni intervengono in ogni campo del pensiero e dell’agire umano e non possono certo essere sviluppate, neanche solo superficialmente, in un blog.

Un’idea inedita è quella di cercare di quella porta e avere il dubbio di volerne oltrepassare la soglia.

Per “alleggerire” l’articolo e spero farvi sorridere, aggiungo in maniera colorita: si immagini di essere all’interno della stanza e di cercarne la porta esterna, anziché quella del cesso.

Solo per alleggerire l’articolo e forse no.

Chi abbia poi di fatto chiesto e pensato prima e costruito poi la lampadina o il cesso ……….. altra questione “ampia” sulla quale riflettere e non me ne voglia il lettore, se chiedo cortesia di non trarne superficialmente le proprie rimostranze.

Light and dark
I doubt it is possible to conceive and then give definition, principle or axiom in the dark in a world of only light and I doubt in a specular way that man can define a principle or an axiom, a concept of light, not having, before or during, lived an experience of the dark.

The experience, that is, that being spectators of the event further presupposes that the event takes place in a shorter period of time than the duration of our experience and / or of those who experience the historical memory of that experience.

Doubting and asking and conceiving the unpublished, presupposes, but it is my personal deduction, even a historical concept of memory, beyond wanting to develop a deductive system based on principles, or an axiomatic and rational system, which in any case needs definitions and premises.

But it is also sufficient to enclose a portion of the world, for having experienced and therefore given the definition of the darkness contained therein and vice versa.

It will never be a spectator, in its time limit and inside, that is, always not eternal and forced outside the walls of that dark or enlightened room that is artificially, even if only conceive that world of light, that dark and starry sky waiting for him outside.

The reasoning is vast and its infinite deductions intervene in every field of human thought and action and can certainly not be developed, even superficially, in a blog.

An unedited idea is to look for that door and have the doubt of wanting to cross the threshold.

To “lighten” the article and I hope to make you smile, I add in a colorful way: imagine being inside the room and looking for the external door, rather than the toilet door.

Just to lighten the article and maybe not.

Who then actually asked and thought first and then built the light bulb or the toilet ……… .. another “broad” question on which to reflect and I do not want the reader, if I ask courtesy of not superficially grasp their grievances.

La corda del tempo

Se ti chiedi che giorno è oggi, non sai che giorno è stato ieri e che giorno sarà domani.

Ogni volta che te lo chiedi, perdi l’equilibrio.

Quando smetti di chiedertelo, lo spettacolo è finito.

The rope of time

If you ask yourself what day it is today, you do not know what day it was yesterday and what day it will be tomorrow.

Every time you ask, you lose your balance.

When you stop asking, the show is over.

 

Un aforisma cancrizzabile

« L’aforisma cancrizzabile è una malattia della tendenza al wit, in altre parole una massima che, pur di apparire spiritosa, non si preoccupa del fatto che il suo opposto sia egualmente vero. »
(Umberto Eco) Fonte wikipedia

Il Potere è merce politica

Un aforisma, forse, “alla Umberto Eco”, cancrizzabile.

Ne lascio al lettore darne la sua risposta emotiva.

L’ambiguità è chiara: la merce può essere interpretata indistintamente come acquistata ovvero venduta:

Il potere è merce venduta alla politica;

Il potere è merce acquistata dalla politica;

Cosa ne accade realmente poi dell’aforisma, se volessimo impropriamente aggiungerne una tonalità non propria ovvero propria?:

Il potere è la merce che si prostituisce alla politica;

Il potere è la merce che prostituisce la politica;

Qualificarne il termine “potere”, permette poi di fantasticare all’infinito, guardate:

Il potere dell’informazione è merce venduta alla politica;

Il potere dell’informazione è merce acquistata dalla politica;

Con diverso aggettivo e scelta di tono:

Il potere dell’informazione è la prostituta pagata dalla politica;

Il potere dell’informazione è la merce che rende la politica una prostituta;

Diversamente:

Il potere economico è la merce acquistata dalla politica;

Il potere economico è la merce venduta dalla politica;

Volgarizzando il testo:

Il potere economico è la marchetta della politica;

La politica è la puttana del potere economico;

Semplificando e non me ne voglia il lettore:

In ogni caso, infine,

visto che forse sempre di pornografia si tratta

Il potere politico è merce venduta alla politica;

Il potere politico è merce acquistata dalla politica;

Ca..o, siamo forse invitati tutti ad una grande orgia o ad una ciclopica masturbazione collettiva !!!

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