Scrivere idee nuove

Autore: italiota

Il dittatore

Il dittatore

Tempi moderni

Null’altro da mostrare che la mia immagine, tenterò  di rappresentarla e difenderla a spada tratta, diversamente ne resterebbe solo la mia solitudine.

Se non avessi purtroppo altra urgenza e necessità che quella di farvi sopravvivere all’inedia, per poter sopravvivere io stesso,  chiederei, io, pure ad alta voce, io, pure a spada tratta e per solo personale orgoglio e a vostro dispetto, che ad offendere la mia intelligenza fossero per lo meno Uomini, che si siano degnati e arditi di rivolgersene.

Male minore che quello di ricevere gratuitamente da voi tante meschine umiliazioni, ma non cedo, il tempo ancora sereno mi permette altro.

Quanto tifare ed io senza alcun pudore, specchiandomi il viso, urlo rivolto col mio fiero sguardo a quell’idiota folla già marchiata coi miei stemmi.

Non temo.

Lascio un messaggio sulle vostre stupide segreterie.

E tanto mi basta

The dictator

Modern times

Nothing else to show that my image, I will try to represent it and defend it with a drawn sword, otherwise only my solitude would remain.

If I had not yet another urgency and need to make you survive the starvation, in order to survive myself, I would ask, aloud, I too, even with a sword drawn and for personal pride and in spite of it, that to offend My intelligence was at least Men, who have deigned and dared to turn.

Less evil than to receive from you so many petty humiliations, but I do not give up, the weather still serene allows me more.

How much to cheer and I without any modesty, looking at my face, I shouted with my proud look at that idiot crowd already marked with my coats of arms.

I’m not afraid.

I leave a message on your stupid secretariats.

And enough is enough for me.

Il costruttivo

La redazione del progetto tecnico-economico obbliga già nella fase preliminare scelte di indirizzo, il limite urbanistico e il confine con altre ditte, ne costituisce la condizione al contorno entro la quale definirne nel dettaglio ogni parametro fino a perfezionarne il costruttivo.

La presentazione e il consenso che ne consegue decide poi delle revisioni di dettaglio e quale progetto dei molteplici preliminari, risponda democraticamente o meno agli interessi della maggioranza dei condomini.

Non certo l’unica idea postulabile del  “fare”.

Esistono poi altre forme non democratiche: un dittatore è ad esempio un politico che porta avanti un progetto sintetico, non necessariamente articolato, più o meno condiviso, senza doverne però definire se non negli limiti diplomatici con altri governi e nei limiti di potere con l’esercito e con la finanza, le condizioni al contorno.

Una vera democrazia, che è quella che auspico, vuole ed esige invece che tali condizioni al contorno siano parte integrante del costruttivo.

L’assenza del planning dimostra l’assenza di una vera politica democratica in Italia, la condizione in essere di una perenne oligarchia che a tempo determinato, per tacito di fatto consenso, di fatto, indeterminato, ha caratterizzato la vita politica del Paese già dalla Prima Repubblica.

In Italia, con tale postulato, non c’è forse mai stata una vera democrazia?, non posso certo affermarlo, ma dovessi esprimere un personale giudizio ne sono nati e succeduti in passato solo statisti, oggi piu’ che nel passato, tanti tanti ciarlatani e pagliacci.

Tra noi tutti ci sono persone più’ e meno intelligenti ma l’intelligenza di ognuno di noi e’ enormemente superiore all’intelligenza media che ci rappresenta nel sistema sociale, in quanto “moltitudine” e in funzione della quale siamo governati e ci facciamo governare.

Premesso questo potremmo affermare ulteriormente che la democrazia è la forma con la quale voler dare forma ed intelligenza giuridica ad una folla, che diversamente non ha, per proprietà intrinsecaintelligenza alcuna, a meno di strani fenomeni fisici di condivisione Wi-Fi o bluetooth di onde cerebrali.

La definizione del progetto, già nella fase iniziale, necessita di ricercare un denominatore comune di interessi e di obiettivi, non può ridursi alla lodevole domanda e bisogno di voler fare semplicemente pulizia del marciume, se e qualora questo avvenga, rappresenterebbe solo ottenerne, per un tempo, il consenso da parte di un popolo che si sente oggi indistintamente, “indistintamente” solo fottuto.

Demolire il fatiscente è solo il primo passo obbligato.

Meglio certo del nulla, a cui siamo assuefatti,

è indubbio, ma ….è’ tardi?

E’ recuperabile il tempo perduto nel delirio del nulla?

Non lo so, spera qualcuno sia tardi?

Siamo in Italia, siamo Italiani e forse già questo è garanzia a scongiurare, nell’immediato, l’abusivismo edilizio.

Tardi, semplicemente tardi, solo pensare, di percorrere ancora il letame, senza scivolare e perdere infine l’equilibrio.

Denarocrazia

Denarocrazia

Trasferta estero

Interventi di consolidamento per risolvere problemi di dissesto idrogeologico esteso a circa il 10% del territorio nazionale, riqualificazione industriale e bonifica delle aree tecnologiche dismesse, obiettivi, coordinamento e planning, infrastrutture viarie, recupero e valorizzazione delle aree di interesse archeologico, progettazione e definizione dei piani economici industriali di intervento per la produzione, la trasformazione delle materie prime e secondarie, iniziative e politiche nei settori dell’agricoltura, dell’allevamento e della pesca, della trasformazione alimentare , business plan da sottoporre all’Europa, senza se e senza ma, o dentro o fuori.

Il progetto Italia per l’Impresa Italia S.p.A., del quale tuttora non ho visto uno stralcio di preliminare da parte di alcuna parte politica è certo impegnativo, ma se vogliamo essere seri, è condizione “sine qua non”, poter fare vera politica economica per il Paese e rendere il terreno fertile per quella bastarda finanza che governa il mondo, siamo indietro di circa mezzo secolo e l’unica preoccupazione è riempire i notiziari di “gossip” , di idiozie mediatiche, di giochi di seggi di potere, chiacchere, vantaggio e ludo per chi ha il privilegio senza onore di governare un popolo consenziente e drogato di pokemon.

Volendo, ma fortemento volendo, “non tutto il male vien per nuocere”, un detto popolare, che ci permette di affermare, senza alcuna ombra di dubbio, che avremmo da dedicare molto impegno al lavoro senza esserne mai disoccupati per almeno una generazione.

Qualcuno potrebbe domandare dove un Paese, dichiarato tanto disastrato economicamente, possa reperire le risorse per affrontare un progetto di ristrutturazione così ampio e ambizioso.

Risponderò ai più che col lavoro, pur senza soldi e con i debiti,  si ricostruisce un Paese “dalle ceneri”, e quello ce lo insegna semplicemente la storia, ma ai più maliziosi pongo invece una ulteriore domanda: dove secondo loro, indottrinati, reperiscano tali risorse paesi dove con una certa assiduità i nostri rappresentanti vanno a fare visita, gli stessi paesi dove una fetta importante delle risorse finanziarie imprenditoriali italiane concorrono e trasferiscono le loro attività facendo impresa e talvolta concessionaria di importanti infrastrutture.

Chi ci governa ne spende i suoi migliori biglietti da visita.

Paesi, certo, in “via di sviluppo”, ma dove l’indirizzo di economia politica è quello, almeno preliminare, di reperire risorse da destinare agli ospedali, alla riqualificazione ambientale, urbanistica, alle grandi opere necessarie alla mobilità delle merci e delle persone, alla produzione energetica anche da fonte rinnovabile etc. etc.

In Italia pare che non si riesca nemmeno a pulire l’immondizia e a chiudere le buche delle strade.

Tra i finanziatori eccellono talvolta realtà imprenditoriali italiane che qui dove pur si sono pasciute finora, sanno solo spendersi ad aumentarci le bollette e sono precedute proprio dai profumati biglietti da visita di chi paghiamo per tagliare i nastrini ai musei.

L’Italia oggi, per la finanza internazionale, sarà forse considerato un cliente non insolvente ed è pertanto economicamente vantaggioso indebitarla ulteriormente pur di incassarne gli interessi sui prestiti.

La politica senza missione, quella che permettiamo in auge degli interessi personali di potere, non può che essere, “pur”, democraticamente eletta, giullare della onorata società denarocratica.

Il monopolio delle idee

La libertà è un futuro insieme dove dare valore economico alla domanda e puro valore di consumo all’offerta. Una idea personale.

Se a detenere il Capitale di quanto si consuma sia lo Stato, nell’eccezione marxista, ovvero ogni cittadino nell’eccezione liberale, in entrambi i casi il Capitale ha vita propria giuridica di domandare e conseguentemente chiedere consumo dell’umano agire.

Sono entrambe forme di Capitalismo.

Libertà non è consumare liberamente, ma poter offrire senza condizionamenti progettualità ai propri bisogni.

Una comunità che assegna valore economico alle proprie azioni, prima ancora che alle proprie idee, mai potrà essere una collettività di uomini liberi.

The monopoly of ideas

Freedom is a future together where to give economic value to the demand and pure consumption value to the offer. A personal idea.

If to hold the Capital of how much is consumed is the State, in the Marxist exception, or every citizen in the liberal exception, in both cases the Capital has its own juridical life to demand and consequently to demand the consumption of human action.

They are both forms of Capitalism.

Freedom is not to consume freely, but to be able to offer without planning conditioning to one’s own needs.

A community that assigns economic value to their actions, even before their own ideas, can never be a collective of free men.

Il buon senso

Il buon senso

Viaggio per l’Italia del “buon senso”,  di quella bella parola fagocitata dalla politica, già ai tempi del faccendiere, di quella politica pigra e non incentivata  a doversi rinnovare neanche nei termini, purché  abusati e logori, magicamente si rinnovino nell’espressione e nella gestualità mostrando tuttora potere di persuasione.

Non mi è sufficiente tuttavia leggere ed ascoltare quel buon aggettivo a smorzare quel senso di nausea e vomito che mi assale nello scorrere fotografie di questa Italia che “sopravvivo”, che senza l’ausilio di fotocamere incorporate agli smartphone o di strampalate apparecchiature social network si imprimono mio malgrado nella memoria visiva, purtroppo lungi dall’essere formattabile e reimpostabile alle condizioni iniziali di fabbrica.

Tutto resta, lì indelebile nel mio tempo.

Vorrei riappropriarmi dei miei sogni, del mio lavoro, dei miei progetti, costruire, vivere ancora il Bel Paese tanto decantato e non mi è permesso, quell’associazione a delinquere che chiamiamo ancora Stato, in ogni suo apparato di concussione, malaffare, falso sperpero, è una macchina con un sistema liberale perfetto di estorsione delle nostre migliori intenzioni di edificazione sociale.

Resta labile la speranza che a cambiare siano i singoli e fare comunione di idee ed azioni, ma ognuno dedito a coltivare le ortiche in casa propria, è incosciente e ignora forse lucidamente che l’orto gelosamente custodito è solo un piccolo appezzamento dell’indebita mezzadria del Potere.

Quei pugni erano graditi al cielo

Quei pugni erano graditi al cielo

Oggi ci sentiamo un po’ tristi, perché l’attore Bud Spencer, che ci ha regalato tanto, è volato in cielo.

I suoi films ci hanno suggerito per tanti anni di vedere la vita e gli uomini con i suoi occhi buoni e come lui anche noi avremmo voluto e forse potuto  scazzottare senza violenza all’egoismo e alle debolezze nostre e altrui.

E’ volato in cielo con tanto della nostra spensieratezza, dei nostri sogni migliori, siamo tristi perché quel suo modo di guardarci e di regalarci serenità, ci faceva forse sentire un po’ extraterrestri, con un astronave in mano, ma con tanto bisogno dell’umanità buona per sentirci bambini e protetti.

A un grande uomo che avrei voluto incontrare.

Ciao Bud

Domani sarà domani

Una strana sensazione che ricorre spesso la sera prima di coricarmi.

Quella di recitare “domani è un altro giorno”.

La sensazione fastidiosa di un proposito e di un progetto bellissimo mai realizzato.

Per quanto tempo ancora rimandare “domani sarà domani”.

Mi sento vigliacco a cedere alla stanchezza e al sonno e pur coricarmi.

Domani sarà il rimpianto di non aver lottato e scalciato con tutte le mie forze.

Tomorrow is another day

A strange sensation that often occurs the night before going to bed.

That of saying “tomorrow is another day”.

The annoying feeling of a purpose and a beautiful project ever made.

For how long to postpone “tomorrow will be tomorrow”.

I feel cowardly to give in to tiredness and sleep and even lie down.

Tomorrow will be the regret of not having fought and kicked with all my strength.

Note a margine al “L’Acrobata”

E’ gradito da parte mia dedicare del tempo per commentare “L’Acrobata”.

Gradito, perché ognuno di noi in cuor suo, desidera che il proprio pensiero possa essere non solo riferito, ma possibilmente quanto meglio comunicato.

La comunicazione non implica necessariamente condivisione, sarebbe inquietante se già solo due persone tra miliardi condividessero, in ogni sfumatura, un solo pensiero.

E’ impossibile collocare ogni parola al giusto posto, affinché un messaggio possa essere recepito universalmente e pur fosse, ne abbiamo una limitata oggettiva e/o soggettiva possibilità di espressione sia essa lessicale, visiva o di immagine.

Del resto del “L’acrobata” non sento al momento esigenza di modificarne una virgola, è il mio pensiero, pur con questo mio commento, ne voglia inserire delle “note a margine”:

“Io dubito

del colore delle cose che vedo, della consistenza delle cose che tocco, dei suoni e delle parole che ascolto.”

Condivido in genere il concetto del “dubbio” filosofico inteso nell’impossibilità di una conoscenza oggettiva della realtà che ci circonda, ognuno per mezzo dei sensi, dell’intelligenza, delle peculiarità sua propria ha un modo diverso di leggere, di interpretare e di vedere.

Sono infinite le possibilità di lettura, non solo per le infinite possibilità dello spettatore, ma a cagione della natura stessa dell’oggetto di studio, che è in evolvere, “sfugge” temporalmente.

Questo concetto del “sapere di non sapere” è molto dibattuto in filosofia.

“Io non dubito

dei colori, della consistenza, dei suoni e delle parole che domando, che penso”

Ora il mio pensiero si rivolge ad un altro oggetto di studio, diverso dal precedente, la mia attenzione non è più rivolta allo studio della realtà che mi circonda, sto studiando il mio stesso pensare.

“La creazione, la domanda è certezza”

Nasce il problema del “lessico”, dovremmo forse “estendere” il significato del verbo “Creare”, o ancor meglio, fosse possibile, dovremmo inventarcene uno nuovo, il cui significato dovrebbe recitare:

“inventare un bisogno, costruirsi mentalmente una domanda”, che non è semplicemente risolto letteralmente col termine “domandarsi”, ma “creare, porsi e porre una domanda nuova, inedita, un nuovo concetto di “idea””.

Quel bisogno quella domanda che “è”, nel mio pensiero, ancora senza rappresentazione, a quella domanda ancora senza risposte, fugge pertanto, dall’osservabile e pertanto dal “dubbio”.

Nel mio pensiero e a maggior ragione non esistendo che non nel mio pensiero, ne sono io l’unico spettatore ed è certezza, legge se stessa.

“L’esperienza, la risposta è dubbio”

L’esperienza dell’esperienza, palesa, a mio avviso, che nell’iter dello studio di un oggetto, sia implicita una domanda, logicamente una domanda, di conseguenza le risposte la cui interpretazione, il cui affanno di una conoscenza oggettiva è inevitabilmente soggetta al “dubbio”.

Affermo l’oggetto, definendolo “risposta”, poiché è nel mio pensiero che qualsivoglia sia l’oggetto di osservazione, sia il risultato di un bisogno, di una domanda.

“Dio creò per amore”.

Quel “per” dice molto riguardo a quanto scrivo, mi viene difficile credere che quanto ci circonda, pur concepito dall’Unico, ne sia il risultato di un creare senza scopo.

“Se e quando Dio ha creato dal nulla, ha creato il dubbio della nostra esperienza e della misura del tempo per viverla.”

In questo passaggio, cerco possibilmente di comunicare il difetto solo lessicale al quale necessariamente per mia incompetenza, o per oggettiva mancanza di un termine adeguato, mi ritrovo ad incorrere.

L’atto del “Creare”, presuppone in etica religiosa, “dal nulla”, in questo se è Dio è “Unico”, quale che sia sia il “creare” dell’Uomo, non può prescindere dall’esistenza in essere dell’uomo e del tempo ad egli assegnato.

Domanda di esistere e di termine temporale che, almeno nel testo, restano implicitamente possibile prerogativa dell’Unico.

Nell’atto stesso della Creazione, nasce il “dubbio” sapere umano, dubbio che non solo è dovuto ai limiti sensitivi dell’Uomo, ma allo scorrere stesso del tempo.

Il concetto è noto anche e soprattutto a livello scientifico.

Il tempo interviene inoltre quale variabile infunzionale dell’agire umano, l’uomo vive in un tempo e per un tempo del quale non ha alcuna possibilità oggettiva di discernimento.

Se e quando l’uomo ha creato un bisogno, ha creato il dubbio per come meglio rispondere di quel bisogno e la misura del tempo utile per consumarlo.”

Ecco in questo passaggio l’atto del creare umano.

Ero sinceramente nel “dubbio” dell’espressione, della risposta al quesito del testo, se indicare il termine “ha creato” tra virgolette o trascriverlo come l’ho poi riportato.

La filosofia è soprattutto porsi domande, non possono esistere schemi predefiniti, altrimenti sofisti, creeremmo un ragionamento basato solo sull’arte dello scrivere e del collocare parole nel testo. A suo modo il sofismo ha altresì mostrato quale sia il potere seduttivo della parole, ha “domandato” di assegnare alla forma letteraria un se oggettivo, ogni pensiero umano, anche quello sofista, in quanto a suo tempo inedito, è idea.

L’eccezione del termine “creare” va contestualizzata, nulla togliendo al concetto che intendo esprimere.

Del resto, mi è difficile ritenere che, se pur non “Creato dal Nulla”, un pensiero artistico, una idea nuova quel “creare umano” forse, volendo assecondare Platone nel desiderio di collocarlo in un “Iperuranio”, non debba comunque per lo meno assurgere, ad immagine e somiglianza dell’atto del Creare divino, seppur non più in un tempo “all’inizio dei tempi”, senza tempo .

Con questo, spero con buona pace di coloro, di Fede, aver sollevato dubbi riguardo alla “buona fede” del testo, non ne ragioni, spero infruttuosamente il lettore, è ininfluente disquisirne oltre.

Ora tornando al passaggio che sto commentando, è proprio nelle “risposte”, nell’oggetto intellettuale, materiale, che risolve di quella domanda e di quel bisogno che ne nasce il dubbio dell’interpretazione, dubbio, noti bene il lettore, del quale è vittima non solo chi cerca di interpretare, studiare, sperimentare le risposte, ma pur chi di quelle domande e di quelle risposte ne sia l’ideatore.

Posso pur pormi la domanda “come vorrei vivere”, la domanda è perfetta, come potrebbe esserlo la domanda opposta o qualsivoglia altro quesito, non è la domanda ad essere l’oggetto dell’esperienza, nelle molteplici infinite risposte si annida il dubbio della verità oggettiva delle stesse, per il solo motivo che tale oggettività chiaramente non esiste, esiste un modo di rispondere più o meno condiviso a un bisogno, confacente al suo tempo, ma mai universale, né per chi consuma di quelle risposte, né per chi ne è pur “costruttore inedito” delle domande e dei bisogni dalle quali scaturiscono.

Noti il lettore come l’atto del “consumare” abbia quale oggetto le risposte.

Io non “cogito ergo sum”,

Io “chiedo”, io “domando”, io “ho bisogno”

“ergo sum”

La grandezza, l’unicità dell’essere umano, non è pertanto, secondo il mio pensiero, nell’essere semplicemente dotato di raziocinio.

Del raziocinio in modo più o meno importante, ne è dotato ogni essere vivente.

Quello che, nel mio pensiero è davvero discriminante dell’Uomo rispetto alla “bestia”, è il fatto di porsi domande, di crearsi bisogni.

La bestia ragiona su come procurarsi il cibo, risolve in maniera più o meno intelligente di quel bisogno e degli altri ad esso assegnati, che non solo è della bestia, ma pure dell’Uomo, ma l’Uomo è l’unico essere vivente che può porsi ulteriori domande, diverse e ulteriori bisogni, diversi  e dei quali esserne unico “costruttore”.

Tornando alla Cristianità, potremmo forse dire, che l’Uomo è l’unico essere vivente che nel paradiso terrestre abbia incontrato il serpente in grado di comunicargli il bisogno di mangiare dell’albero proibito.

Io sono uomo e dubito di quanto vedo, io sono uomo e non dubito di quanto domando.”

Aggiunge una nota esplicativa a quanto già scritto, posso sperimentare di quanto ha consistenza visiva, sensitiva in genere.

Lo stesso pensiero potrebbe apparire superficialmente oggetto di “dubbio” poiché per esprimerlo è necessario in ogni caso un mezzo, sia esso scritto o verbale per comunicarlo e quale sia, sia, il mezzo è già di suo difettoso, ma notate bene, al di là dell’osservatore medesimo,

non è il pensiero a conseguire il dubbio, ma il dubbio a conseguire il pensiero.

“Se un mondo di idee, mi domando ora di pensare,

quel mondo è per me abitato dalle domande che si è posto l’umanità e non dalle risposte che si è dato

risposte che pur, se ora sono,

sono già consumate dal tempo.”

Come già esposto, dubito dell’esistenza di un mondo Iperuranio di idee, già risposta, non dubito certo della possibilità di volerlo ora pensare, pensandolo volontariamente, col desiderio di farlo, pur adesso che ne scrivo, nell’atto stesso in cui “domando” di quel Iperuranio, ne rappresento per azzardare un contenuto non proprio.

Il secondo passaggio rimarca il motivo, per cui anche un osservatore assoluto non possa conoscere oggettivamente l’oggetto di studio, per la stessa labilità temporale ad esso intrinseca.

“Se esiste un Creatore, esiste l’Unico a domandare un tempo per creare.”

E’ la mia idea, è la mia definizione dell’Unico, non è un oggetto di osservazione, quella definizione dell’Unico che rappresento con la limitatezza del testo, nasce da un mio personale approccio matematico alla cognizione di “tempo”, che esula dal contesto del “L’Acrobata”.

Il “Se”, è atto dovuto nel testo, il pensiero è razionale.

“Io non dubito, non riesco a dubitare

delle parole che ho scritto”

Il passaggio è chiaramente rivolto ad un Io interiore, “non riesco”, è un atto di conferma a me stesso della veridicità di quanto sto scrivendo, un tentativo di attestarne soprattutto l’uso proprio o improprio dell’espressione scelta per comunicarlo.

“Non posso invece che dubitare

dell’esperienza mia e di coloro che ne consumeranno le risposte.”

In questo passaggio si intende sottolineare quanto dell’inconsistenza oggettiva del sapere delle risposte ne sia prima vittima l’artefice delle domanda da cui scaturiscono, secondariamente i soggetti esterni, che di quella domanda “difettosamente trasmessa” ne diverranno possibilmente fautori e consumatori di sole risposte.

Il consumare è tipico dell’utilizzo di una risposta, è un atto passivo di utilizzo di una risposta, contrapposto, volutamente nel contesto dello scritto, all’atto vero attivo di “concepimento” del quesito.

“L’uomo, può, a Suo arbitrio e scelta

Creare, volere ed essere artista

Sperimentare, dare ed essere consumatore”

Una personale definizione del libero arbitrio, potendolo estendere, ma è ininfluente ai fini di questa trattazione, pure alla possibilità “Cristiana” di potere discernere tra il bene e il male, nella fattispecie tra “chiedere bene” o “chiedere male”, desiderare del bene o desiderare del male.

Se l’uomo vive in guerra ed uccide, sta consumando una guerra della quale non ne è necessariamente lui stesso l’ideatore, non ha chiesto “guerra”, vive una condizione, una risposta appunto ad una domanda, ad un bisogno e a risposte di guerra di una fazione della quale non necessariamente appartiene.

Discernere tra il bene e il male, non è tanto, o almeno, non solo principalmente, nell’utilizzo delle risposte, ma soprattutto libero arbitrio a porsi domande e bisogni all’uopo.

“La banalità del male”, rappresenta credo bene, quanto possa essere vittima e contemporaneamente carnefice delle proprie azioni l’uomo che, passivamente, vive una condizione dovuta ad un bisogno del quale non è l’ideatore.

Del resto, la genialità umana, quell’essere, nella possibilità del libero arbitrio, artefici dei propri bisogni, non è pertanto da intendersi necessariamente nell’eccezione eroica positiva del termine.

Mi è caro dare un valore etico, pur se ininfluente, ma è chiaro che come esista la genialità del bene esista pure e forse in maggiore occorrenza a cagione dell’egoismo umano,  la genialità del male.

Se la società vive tuttora di contenuti espliciti di ineguaglianza sociale, guerra e povertà, spero quanto da me trattato, possa essere di incentivo eroico per chi mi legge, a rendersi promotore di nuovi bisogni di bene, meno consumatore passivo di risposte a bisogni che non siano finalizzati ad un bene collettivo e universale.

“Acrobata, in bilico

sulla corda del tempo

che non ha domandato

ed è a lui invisibile.”

Il limite più evidente dell’uomo è “il tempo”, una domanda ed un bisogno, del quale poter vivere solo la risposta, può solo l’uomo del concetto del tempo dubitarne anche di misurare con giusta misura cadenza dello scorrere dei secondi, dei minuti e delle ore, realmente quell’idea, quel bisogno indecifrabile dell’ineluttabilità dell’agire umano ne lascia l’uomo spettatore senza occhi per vedere e senza udito per sentire.

Il tempo è invisibile, come è invisibile il termine ultimo dell’agire.

In questo senso, l’uomo lo raffiguro come una acrobata, a porsi domande e a darsi risposte, pur non avendo la possibilità di comprendere se avrà mai il tempo per godere di quelle, pur magnifiche, spero, domande e di vivere di quelle. pur magnifiche, spero, risposte.

La risposta principe è “forse” all’Uomo preclusa, l’Unico solo ne ha l’immensità della cognizione.

L’acrobata

Io dubito

del colore delle cose che vedo, della consistenza delle cose che tocco, dei suoni e delle parole che ascolto.

Io non dubito

dei colori, della consistenza, dei suoni e delle parole che domando, che penso

La creazione, la domanda è certezza

L’esperienza, la risposta è dubbio

Se e quando Dio ha creato dal nulla, ha creato il dubbio della nostra esperienza e della misura del tempo per viverla.

Se e quando l’uomo ha creato un bisogno, ha creato il dubbio per come meglio rispondere di quel bisogno e la misura del tempo utile per consumarlo.

Io non “cogito ergo sum”,

Io “chiedo”, io “domando”, io “ho bisogno”

“ergo sum”

Io sono uomo e dubito di quanto vedo, io sono uomo e non dubito di quanto domando.

Se un mondo di idee, mi domando ora di pensare,

quel mondo è per me abitato dalle domande che si è posto l’umanità e non dalle risposte che si è dato

risposte che pur, se ora sono,

sono già consumate dal tempo.

Se esiste un Creatore, esiste l’Unico a domandare un tempo per creare.

Io non dubito, non riesco a dubitare

delle parole che ho scritto

Non posso invece che dubitare

dell’esperienza mia e di coloro che ne consumeranno le risposte.

L’uomo, può, a Suo arbitrio e scelta

Creare, volere ed essere artista

Sperimentare, dare ed essere consumatore

Acrobata, in bilico

sulla corda del tempo

che non ha domandato

ed è a lui invisibile.

The acrobat

I doubt

the color of the things I see, the consistency of the things I touch, the sounds and the words I listen to.

I do not doubt

of the colors, the consistency, the sounds and the words I ask, that I think

Creation, the question is certainty

Experience, the answer is doubtful

If and when God created us from nothing, he created the doubt of our experience and the measure of time to live it.

If and when man has created a need, he has created doubt as to how best to respond to that need and measure the time needed to consume it.

I do not “cogito ergo sum”,

I “ask”, I “ask”, I “I need”

“Ergo sum”

I am a man and I doubt what I see, I am a man and I do not doubt what I ask.

If a world of ideas, I wonder now to think,

that world is for me inhabited by the questions that humanity has asked itself and not by the answers it has been given

answers that even if they are now,

they are already consumed by time.

If there is a Creator, the One exists to ask for a time to create.

I do not doubt, I can not doubt

of the words I wrote

I can not but doubt

of my experience and of those who will consume the answers.

Man, can, at his will and choice

Create, want and be an artist

Experiment, give and be a consumer

Acrobat, poised

on the rope of time

who did not ask

and it is invisible to him.

Storie da bar

Storie di finti banditi, di finti eroi, di donne fatali e leggerissimi veli di lenzuola e di letto inventate nell’aria tersa della sera di fine estate, sempre la stessa regola, non sia mai che qualcuno metta in dubbio niente, vero?
Talvolta il racconto è troppo fuori dagli schemi logici, troppo irreale, allora le spalle si incurvano fingendo il gesto di chi vuole meglio accomodarsi sulla sedia del piccolo bar.
Tanto ne sono testimoni solo Tizio, Caio e Sempronio, purtroppo Tizio è morto, Caio è al tavolo tra gli avventori e Sempronio è ancora lì in quel lontano e immaginario paese dove Mimmo lo ha collocato e da dove non è poi più tornato a casa ………………., Caio, che è lì seduto al tavolo guarda Mimmo, che ne cerca insistentemente l’approvazione, con una strana espressione inebetita sul viso, che non sai decifrare se dovuta all’alcool o allo stupore di essere diventato suo malgrado testimone di una vicenda sino ad allora sconosciuta o raccontata tante di quelle volte da essere assorta a reale, annuisce perciò, con poca convinzione, ma senza mai interrompere, un romanzo tanto bello per chi lo racconta e maggiormente per chi lo ascolta.

L’Ultimo

Tu, dico a te
chi sei?
Sono un uomo
E dove stai andando?
Non lo so, lontano credo,
vieni con me?
Volentieri,
sarà lieto il cammino
Voi, dico a voi, chi siete?
Siamo uomini
E dove andate?
Lontano,
vuoi venire con noi?
Con piacere,
sarà più corta la via
Ehi tu, chi sei?
Sono l’Ultimo,
nulla ho lasciato
Dove state andando?
Noi restiamo qui
con te
sotto le stelle.

The last one
You, I say to you
who are you?
I’m a man
And where are you going?
I do not know, far away I think,
come with me?
gladly,
the path will be happy

You, I say to you, who are you?
We are men
And where are you going?
Far,
you want to come with us?
With pleasure,
the way will be shorter

Hey you, who are you?
I’m the last one,
I left nothing
Where are you going?
We stay here
with you
under the stars.

Perdonami Uomo

Perdonami uomo,

perdonami donna,

perdonami bambina,

perdonami bambino.

Perdonatemi, vi prego

Avete viaggiato percorrendo distanze oltre a quelle che potevate misurare all’orizzonte dei vostri occhi, venite da lontano, venite da vicino, poco importa, venite solo perché da “oltre una sbarra di ferro”, vi siete imbarcati nelle zattere dei mercenari al soldo dei governi, vi siete stipati fino a morirne asfissiati, all’interno di una stiva, nei containers, nei camions guidati da chi era stato pagato

un soldo.

Fuori era tutto silenzio.

Avete accettato l’umiliazione dei nostri recinti, delle nostre pulizie corporali, dei nostri controlli sanitari pur di passare oltre una linea.

Perdonami uomo, perché delle vostre vite abbiamo tirato le somme, le sottrazioni, discusso il destino, tuttora le annotiamo sulla nostra

carta sporca

e a voi, che dovete ancora partire, non vi abbiamo interpellato.

Perdonami uomo se non combatto con forza

contro chi sulle vostre vite costruisce un senso, forse l’unico, da dare alla propria.

Perdonami uomo se non combatto con forza

contro chi sulle vostre vite costruisce il proprio fallimento, ingannando se stesso.

Perdonami uomo, se la pietà delle mie parole non basta.

Perdonami Tu figlio dell’Uomo, se ogni giorno ancora edifico la tua croce.

Forgive me man,

forgive me, woman,

forgive me baby,

forgive me baby.

Please forgive me

You traveled along distances beyond those you could measure on the horizon of your eyes, come from afar, come up close, it does not matter, come only because from “beyond an iron bar”, you boarded the rafts of mercenaries in the pay of Governments, you’ve crammed them to death asphyxiated, inside a hold, in containers, in trucks led by those who had been paid

a penny.

All was silent outside.

You have accepted the humiliation of our pens, our body cleanings, our health checks to pass over a line.

Forgive me man, because of your lives we have drawn the sums, the subtractions, discussed the destiny, we still note them on our

dirty paper

and to you, who are yet to leave, we have not asked you.

Forgive me man if I do not fight hard

against those who build on your lives a sense, perhaps the only one, to give to their own.

Forgive me man if I do not fight hard

against who on your lives builds his own failure, deceiving himself.

Forgive me man, if the piety of my words is not enough.

Forgive me You son of Man, if every day I still build your cross

Periferia

Cammino nel cimitero degli uomini

vie industriali

sotto un sole malato

Rifiuti gettati

sotto un muro di fabbrica

odorano di erba bruciata.

Perifery

Way in the men’s cemetery

industrial ways

under a sick sun

Thrown waste

under a factory wall

they smell of burnt grass

Un rametto spezzato

E’ sera, la macchina mi blocca lungo la litoranea e mi incammino sulla spiaggia, il tempo di fumare una sigaretta penso e poi cercare qualcuno.

E’ una bella sera di tramontana, il mare è una tavola verde azzurra, ne sento dolce la carezza dell’onda del bagnasciuga.

Scorgo un rametto spezzato sporco di vernice rossa.

Mi diverto a disegnare sulla sabbia le figure di cartone che affollano la mente, la sigaretta è finita.

Il mare lo guardo, si è vestito di rosso, mi inginocchio, senza sporcarmi e raccolgo sabbia per costruire un castello, sporco i vestiti che indosso e il mio castello prende forma, ma senza volerlo ci rinchiudo l’amore che ho dato e quello che ho ricevuto, una folata di vento fa cascare la torre e il castello si adagia, i miei pensieri ora liberi volano laggiù dove vedo la schiuma della dolce sirenetta che affollava la mie mente bambina.

Tolgo le scarpe e coi piedi nudi distruggo quanto rimasto, cammino sulla spiaggia e col rametto disegno percorsi diversi, mi sdraio vestito, sento freddo, è fresca la sera, chiudo gli occhi e la mia dolce sirena torna a baciare ancora il mio viso e a giocare, è tanto tempo ormai che attende che torni il suo amato. La lascio fare……

Fa freddo, i vestiti umidi, devo essermi addormentato, ma è giorno.

Cerco le scarpe lasciate chissà dove, mi assale il dubbio di aver perso le chiavi ……….ma erano lì dove le avevo lasciate, appese al cruscotto dell’auto.

A broken sprig

It ‘s evening, the car blocks me along the coast and I walk on the beach, time to smoke a cigarette think and then look for someone.

It ‘a beautiful evening of tramontana, the sea is a blue green table, I feel sweet the caress of the wave of the shore.

I glimpse a small branch of dirt stained with red paint.

I enjoy drawing on the sand cardboard figures that crowd the mind, the cigarette is over.

The sea I look at him, he is dressed in red, I kneel, without getting dirty and collect sand to build a castle, dirty clothes I wear and my castle takes shape, but without wanting I lock the love I gave and what I received, a gust of wind makes the tower fall and the castle lies down, my thoughts now free fly down there where I see the foam of the sweet little mermaid that crowded my child mind.

I take off my shoes and with my bare feet I destroy what is left, I walk on the beach and with the twig design different paths, I lie down dressed, I feel cold, it’s cool in the evening, I close my eyes and my sweet mermaid returns to kiss my face again and play , it is a long time now that he waits for his beloved to come back. I let you do ……

It’s cold, wet clothes, I must have fallen asleep, but it’s day.

I’m looking for shoes left who knows where, I doubt the doubt of having lost the keys ………. Were there where I had left them, hung on the dashboard of the car.

Perché, papà ?

Ho ritenuto di approvare e quindi pubblicare il commento precedente, pur non potendone testare personalmente la veridicità dell’identità dichiarata dal mittente, ma poco importa, non mi interessa.

Ho registrato da pochi giorni questo sito, improvvisandomi utilizzatore di una tecnologia di cui sono poco avvezzo, dove è nelle mie intenzioni pubblicare idee, pensieri, spero propositivi per chi mi legge.

Non mi interessa “discutere” di politica, lo fanno già in tanti e con tanto rumore.

Oggi più che mai, agevolati certo da un sistema di scambio internazionale, siamo spettatori senza idee del baratto commerciale (prerogativa sostanzialmente umana) di ogni bene sia esso materiale, umano o intellettuale.

Questo non credo personalmente rappresenterebbe certo un problema, non creerebbe disuguaglianza in un sistema liberale. se quale merce di scambio fosse possibile barattare indifferentemente quesiti (domande) e risposte (offerte), ma così non è.

La risposta, l’offerta, il bene che si materializza ha un valore di vendita, il quesito, la domanda, “il perché”, il dubbio è invece un progetto di investimento, senza un valore di mercato immediatamente esigibile.

I figli di oggi smettono di chiedere “perché papà” ad una età molto precoce, diventano subito consumatori, consumatori di certezze preconfezionate, di bisogni artificiosi, che assumono forma e consistenza nella rappresentazione mediatica e virtuale collettiva.

Che differenza corre del resto, tra la rappresentazione e la realtà, quando lo strumento per comunicare il virtuale ed il bisogno collettivo da vendere è talmente avanzato ed affinato. L’uomo ha messo piede sulla luna, era una idea e l’ha realizzata, lo spettatore annoiato che viaggia su Marte con la fantasia del regista lo ha già forse superato, non importa come.

Così vale per tutto, anche per la politica, della quale tanto si chiacchera vanamente e vanitosamente, la massa recepisce lo standard dei contenuti, la forma, quel “chiavi in mano” di domanda e risposta confezionata, pensando di poter delegare ad altri i “perché”. La politica dovrebbe essere invece una offerta, quella ritenuta più votata e confacente ad una domanda, ad un progetto già condiviso.

L’uomo credo debba fare maggiore attenzione oggi e sembra strano dirlo, al fatto che per migliorare la qualità di vita dei molti, ogni individuo, ogni associazione, ogni comunione, debba compiere uno sforzo prima di progetto, costruire un quesito e non avere fretta di darsi risposte, o ancor peggio, rinunciare da subito, per acquistare il “chiavi in mano della domanda+risposta” già offerto a “poco” prezzo sul mercato, probabilmente la stessa domanda dovrà essere revisionata più volte, come Aladino, che di fronte alla lanterna magica, immagino, abbia dovuto pensare e ripensare più volte al desiderio, al bisogno da pronunciare, immaginate se il mago, senza che Aladino dovesse strofinare la lampada, ne fosse uscito esaudendo desideri di proprio arbitrio.

Solo così facendo, l’uomo potrà forse assecondare con coscienza ai propri bisogni, perché quei bisogni, quelle aspirazioni , quelle idee saranno allora la risposta a domande di cui si è veramente reso artefice e costruttore intellettuale.

Il potere dell’alta finanza, intendendolo come il potere economico detenuto da pochi col quale investe nel progettare bisogni collettivi per venderne infine i prodotti sul mercato, in tale logica, capite bene, ne sarebbe depauperata dell’essenziale, cioè del progetto e senza progetto di realizzazione, la vendita, il rientro economico dell’investimento non avviene, l’attivo economico di queste belle società, delle holding, dei fondi di investimento disseminati per il mondo, passa dalla voce crediti alla voce debiti, quale sia sia il conto corrente sul quale sono depositate le somme.

Poco importa , visto che a farne le spese sarebbero quei pochi che oggi con ingordigia ci vendono, senza remora alcuna. ogni veleno, quegli stessi che ogni giorno costruiscono a tavolino quelli che debbono essere i nostri sogni e le nostre aspirazioni.

Non mi interessa particolarmente ricevere commenti politici all’articolo che ho pubblicato per il semplice fatto che non ho posto domande politiche, ho fatto semplicemente, nel precedente, una constatazione un tantino colorata e forse ironica dello stato dell’arte, per come la vedo io, forse per come spero la vadano in tanti, del contesto sociale che vivo e dove necessariamente debbo dare spazio e tempo alle mie domande, anche possibilmente da ragionare e costruire insieme a qualche lettore più attento.

E’ l’unico punto di partenza, credo, per investire sul futuro, non tanto più il nostro, almeno parlo per me che a 45 anni, a differenza del ben pensar comune, umanamente ritengo di aver già vissuto le emozioni essenziali, quelle che contano, quanto per comunicare una possibilità mentale diversa ai nostri figli che, oggi, soldatini passivi dell’usa e getta, sento di voler proteggere dal delirio del nulla.

Il delirio del nulla

In nome della Constatazione della Repubblica italiota

Art. 1

L’Italia è una oligarchia, che twitta, fondata sul profitterolo.

La sovranità appartiene all’alta finanza, che la esercita con più ampia formula.

La finanza, il cui fondamento di diritto è internazionale, non ha dovere di rappresentanza, si fa i ca….cci suoi, avrà rappresentanza giusto se vuole, ma proprio se non può farne a meno, presso gli istituti di credito, possibilmente senza tracciatura, né pollicino e non deve iscriversi su facebook per avere gli amici.

Art. 2

La community “amici dello Stato” riconosce e garantisce i diritti inviolabili di retribuzione dei moderatori del forum e richiede l’adempimento ad ogni utente registrato dei doveri inderogabili di gabella per il mantenimento e vitalizio dei ministeri, della cerchia di amici, per i diritti pubblicitari, per i “mi piace”, per l’accesso all’economia, ai buoni pasto dello stato e dei pubblici servizi igienici, gabelle in tal caso che verranno elargite mediante ogni forma e all’uopo, anche con paypal o con mancia all’uscita.

Art. 3

È compito della community rimuovere ogni possibile ostacolo, che, minacciando di fatto libero arbitrio alla spartizione dei “mi piace“, impediscano la tranquillità, la serenità e la domenica sportiva, permettendo indebitamente e in maniera disattesa il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Tale compito potrà essere esercitato con libertà di utilizzo di sistemi di distrazione e intrattenimento di massa, di ogni tipo, anche su dispositivi mobili, alcun limite viene imposto in tal senso dalla Costituzione affinché qualsiasi moto o pensiero o sms che abbia logica venga sopito sul nascere, contemplando in tal modo la moderna tesi politica, sociale  ed economica atta ad evitare disturbo della quiete pubblica in orario di papagna.

Art. 4

La community “amici dello Stato” riconosce a tutti gli addetti ai pubblici servizi igienici il diritto allo stipendio, facoltativamente, se vogliono, anche al lavoro e l’iscrizione ai social network di gradimento, nel numero utile a coprire i  “mi piace” per le adesioni e le nuove iscrizioni ai gruppi di acquisto on line.

Amen

Page 2 of 2

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén